Per la Val di Rose – Monte Capraro e Balzo della Chiesa

Avevo voglia di uscire in montagna, ma di farlo tenendomi lontano dai soliti circuiti battuti da tutti. Ultimamente la mia attenzione si è riversata verso quella parte del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise e le sue zone limitrofe a ridosso del Marsicano; quel territorio montano poco battuto dagli escursionisti ma non per questo meno bello ed interessante. Volevo andare a conoscere montagne per così dire “secondarie”. Una prima ipotesi mi stava portando verso quella Sella di Rocca Chiarano che domina il passo Godi e che sicuramente è davvero poco frequentata, ma una sorta di deja vu mi ha spinto con la fantasia sugli spigoli del proibitissimo Monte Petroso. Proprio quella sorta di inavvicinabilità imposta dalla forestale e dalle regole troppo restrittive del parco ha scatenato la mia curiosità di avvicinamento a questo “totem” delle Mainarde e le immense vedute godute dal Forcone e dal Calanga che mi sono ritornate in mente hanno agitato per qualche giorno i miei sonni e le mie fantasie. Al di la di Forca Resuni tutto era proibito continuavo a pensare; non valeva la pena di salire fin la per rimanere poi con la voglia repressa di una cima proibita anche se la sola vista ravvicinata della montagna veleva come si è soliti dire, il prezzo del biglietto. Allora ho preso la carta della zona e l’ormai riferimento per tutti che è la lista completa dei 2000 dell’Appennino ed ho iniziato a studiare con la speranza di trovare almeno degli obiettivi interessanti ai confini della zona proibita e …. Bingo! Ben tre cime orlavano il Petroso, ad Est lo Iammiccio e a Nord il Capraro e il Balzo della Chiesa; da subito ha preso corpo l’ipotesi di un clamoroso giro a toccare tutte e tre le vette con l’annesso studio di due versanti del Petroso da molto molto vicino. La zona non l’avevo mai battuta, non conoscevo la conformazione delle valli se non per averle studiate sulla carta e per averle viste da cime lontane e quindi ero coscente che il progetto poteva essere un po’ troppo ambizioso, viste anche le minori ore di luce a disposizione, e per prudenza ho convertito il progetto ad una più modesta salita con l’accoppiata Capraro-Balzo della Chiesa da Civitella Alfedena, per la Valle delle Rose ed il Passo Cavulo. Trovati anche i compagni di “sventura” e dopo sarò più chiaro sul perché dico di “sventura”, in uno scatenato e sempre pronto Luca e in Paolo che si sta facendo incuriosire dalle nostre montagne locali dopo qualche esperienza alpina. Appuntamento alle 6. Autostrada per Pescara, uscita Pescina, poi una attraversamento di Pescasseroli e Opi e alle 8 e 15 dopo un viaggio interminalbile arriviamo a Civitella Alfedena. Il paese è piccolo e grazioso e grazie ad una serie di cartelli segnaletici dei percorsi davvero ben disposti già alle porte del paese non è difficile trovare l’attacco del percorso “I1”. L’inizio del percorso, un acciotolato bianco sicuramente di riporto, ci consegna immediatamente ad un ormai spoglio e pulito bosco di faggi altissimi e a delle balconate sul lago di Villetta Barrea dove spettacolari vedute sull’intero lago entusiasmano da subito e riempiono già di motivazioni la giornata. Il sentiero si snoda rapido e ripido all’interno del bosco ed è anche fin troppo ricco di segnatetica costituita dalle tipiche bandierine bianco rosse contraddistinte con la sigla del percorso. Fin troppo frequenti, in alcuni tratti una ogni 20 metri, offrono certamente certezza per non perdersi ma tolgono fin da subito la più minima necessità di impegnarsi nello studio del percorso e qualsiasi velleità di avventura. Filosofia da quattro soldi, in montagna occorre sicurezza e motivazioni per rendere sicura a tutti l’escursione, quindi va benissimo così. Le motivazioni per stupirsi si troveranno più avanti. Procediamo lentamente all’interno del bosco, parliamo di cose serie e scherziamo, un’escursionista velocissimo ci raggiunge silenzioso e ci oltrepassa perdendosi nel bosco nel giro di cinque minuti. Probabilmente ognuno di noi tre avrà realizzato che la nostra era una andatura da vera gita della domenica ma alla stessa maniera nessuno dei tre ha tenuto ad esternare la cosa, per cui abbiamo continuato con la nostra andatura. Neanche troppo lenta se già dopo un’ora e mezza di cammino senza soste ci siamo trovati al limite del bosco con la maestosa conca che conduceva al Passo Cavulo dominata dalle imponenti parete del Monte Boccanera, un 2000 mancato per soli diciotto metri. Un cielo turchese contrastava con il grigio delle pareti e col bianco di ciò che rimaneva delle prime precoci nevicate, e le linee delle creste intorno e le pendenza della conca portavano lo sguardo e le direzioni in maniera fin troppo naturale verso il nostro primo obiettivo della giornata. In una quarantina di minuti l’approccio con la salita al Passo Cavulo è diventato affare fatto e al di là di quella sorta di sentiero a spaccare la cresta il panorama è cambiato drasticamente. Una valle innevata con un laghetto di scolo ghiacciato al centro conducevano lo sguardo verso l’intuibile e ancora non visibile Forca Resuni, ma ancora di più verso la mole della piramide del Petroso. Intorno le nostre mete, a sinistra del Petroso il lontano Iammiccio realisticamente e immediatamente riposto nel cassetto delle escursioni future e a destra di Forca Resuni la nostra accoppiata molto più realistica e raggiungibile della giornata, il Monte Capraro e poco dietro Il Balzo della Chiesa. Il colpo d’occhio era notevole e già questo valeva la sfacchinata fatta per arrivare sin li. Ci concediamo una sosta, la prima della giornata. Ci siamo goduti in una tiepida quiete infastidita solo da un leggero vento fresco l’immensità di quel panorama e finalmente i primi morsi voraci ai nostri panini. Davanti a noi, ma proprio immediatamente davanti a noi, il Capraro sembrava una collina. D’altra parte i 2000 metri del passo lasciavano da coprire solamente altri 100 metri di dislivello. Un dislivello completamente innevato ma che si fa colmare in poco meno di mezz’ora e senza particolari difficoltà. Luca, il solito e come sempre, quando sente odore di vetta e quando la salita si fa ripida e diretta alla cima, innesca la sua ridotta e comincia a distanziarci. In un attimo è lontano, è già su, e quando arriviamo si fa trovare riposato e sorridente in contemplazione dell’infinito panorama. La salita al Capraro è stata semplice e priva di eccessive difficoltà se non fosse per una neve molle e inconsistente; salendo il colpo d’occhio verso il Balzo della Chiesa e verso la profondissima valle sottostante era impresionante per dimensioni e ripidità delle pareti; mai nome di un monte è stato più pieno di significato e ciò che ci si prospettava davanti era davvero un “balzo” verso l’alto del cielo. Mentre salivo il Capraro quelle visioni di pareti scoscese mi facevano cambiare punto di osservazione e ciò che prima sembrava una banale sella tra il Capraro e il Balzo della Chiesa andava prendendo una dimensione diversa. Fosche ipotesi si stavano addensando nella mia fantasia, ma la mole della vetta del Capraro mi impediva di dare un volto ai miei timori di inaccessibilità della seconda vetta in programma. Salito in cima al Capraro non mi sono concesso nemmeno il tempo delle congratulazioni con i compagni di salita; dovevo dare una risposta ai miei dubbi e quesiti e mi sono portato subito all’estremità delle rocce di cresta. Le ombre si sono fatte buio e grossi e repentini salti si manifestavano davanti a me ad impedirci una facile conquista della seconda montagna della giornata. Abbiamo accantonato per un attimo i quesiti sul come raggiungere la seconda cima e ci siamo dedicati alle solite foto di rito ed ancora di più alla contemplazione ( non esagero) del prospicente Monte Petroso. Mai eravamo stati così vicini. Dal rifugio di Forca Resuni una cresta accessibilissima saliva con pendenza costante fino alla corona della piramide sommitale. Da li una salita diretta alla cima sarebbe stata forse un po’ più complicata ed un traverso su pareti rocciose per raggiungere linee di salita più agevoli sarebbe stata forse d’obbigo. Studiavamo la montagna come se dovessimo da li a poco accingersi a salirla. Tanta attenzione sarà dovuta al “pruriginoso” divieto di salita o alla sagoma davvero da grande montagna che il Petroso offriva? Sta di fatto che sulle pareti della montagna si muovevano delle minuscole sagome che probabilmente erano gli escursionisti incontrati la mattina, in paese, pochi istanti prima di partirte. Ma allora, il divieto è vero o si tratta della solita incongruità all’italiana? Mentre questi, al cospetto della nostra confessata invidia, stavano per conquistare la nobile vetta del Petroso a noi non rimaneva che ripiegare verso il completamento del nostro progetto. Mai termine “ripiegare” è stato malamente usato. Non sapevamo ancora che ciò che ci aspettava davanti per la conquista del Balzo della Chiesa e soprattutto per il ritorno era una autentica impresa da far sparire qualla dei nostri invidiati conquistatori del Petroso! I già citati forti e verticali salti di roccia di cresta ci hanno costretto ad una discesa del Capraro verso ovest per aggirare le impossibilità di cresta. Paolo era un segugio nel trovare gli spiragli. Frequenti passaggi di secondo grado ed un terreno ripido e sdrucciolevole per guadagnare quota erano nulla ripetto alle difficoltà che avremmo dovuto affrontare da li a poco. L’aggiramento per quanto difficoltoso ci ha consentito di raggiungere la sella tra i due monti abbastanza agevolmente; da li, il Balzo della Chiesa in linea d’aria, non era più lontano di 200 metri. Peccato che davanti a noi avevamo il più intricato, assurdo, impercorribile bosco mai incontrato finora. Una distesa di Pino Mugo rigogliosi, gli uni sugli altri, ci sbarravano la strada. A nulla sono valsi i tentativi di aggiramento nei pochi spazi che le piante concedevano alla montagna; uno, due, tre aggiramenti ma alla fine il muro verde non offriva più punti deboli. Le rocce sommitali del Balzo della Chiesa si erano avvicinate, erano lì a pochi minuti da noi se ci fosse stato un percorso un minimo decente da calpestare. Sentivamo dentro di noi qualla delusione che tocca a chi impotente sfiora l’obiettivo e deve arrendersi mentre pregusta le emozioni della vittoria. Con Luca un po’ per gioco, e confidando nelle tante radure che si vedono sulle pendici della montagna al di la del muro di alberi, cominciamo ad inoltraci nella ragnatela di rami del bosco; Paolo nemmeno parla più, subisce probabilmente contro voglia la nostra scelta e si inoltra anche lui nella intricata massa vegetale. Non riusciamo nemmeno a vederci più. Ormai l’avanzamento è solo un corpo a corpo con i Pini. E’ divertente però, ma terribilmente lento è l’avanzamento e tanto tanto faticoso. Con un succedersi di sforzi immani superiamo le varie macchie di alberi. Usiamo le radure per riprendere fiato e per ridere di noi. Intanto siamo sotto la cima. E’ ovvio che lì a quel punto non ci possiamo più fermare. Luca spinto dalla solita frenesia di conquista si fa apripista e mentre vado in pelustrazione è gia a salire un breve, divertente ma insidioso camino. Lo seguiamo Paolo ed io e sicuramente anche lui ad ogni sforzo e ad ogni passo fatto è col pensiero alle difficoltà del ritorno. Sopra il camino dal vago sapore di esperienza alpinistica più seria le difficoltà si appianano. Il bosco si dirada mentre intorno a noi i vuoti si fanno imponenti. Saliamo facendo finta di essere su un sentiero qualunque a all’una precisa siamo la sopra. Ci chiediamo quanti siano i temerari o ancora meglio gli sconsiderati che siano saliti su questa cima. La cosa però ci inorgoglisce. Di sicuro non è stata la solita conquista di una vetta in cui bastava mettere un passo davanti all’altro. Ma la felicità di aver raggiunto l’obiettivo è durata poco. Solo il tempo di qualche foto per immortalare le zone circostanti ed eravamo già proiettati nelle difficoltà del ritorno. La discussione si è accesa sull’opportunità di seguire la via di andata oppure aggirare la cresta sommitale verso ovest per perdere quota più gradualmente e possibilmente senza l’ossessiva presenza dei Pini. Ha vinto la speranza di faticare meno per tornare e ci siamo buttati verso sentieri inesplorati. Il progetto si è realizzato a metà. Un bosco meno fitto e aver intecettato una ripida forra pietrosa ci hanno permesso di perdere quota rapidamente e con minor fatica, ma nelle stesso tempo le linee naturali della forra ci hanno portato lontano dalla sella tra il Balzo della Chiesa e il Capraro e direttamente all’interno delle valli alle spalle del Capraro stesso, verso ovest. Avevamo perso quota ed energie. L’idea di salire di petto il Capraro è stata rifiutata od almeno si è provato a trovare soluzioni meno impegnative. Paolo ha lanciato l’idea di aggirare rimanendo in quota il Capraro per andare ad intercettare la sella di Forca Resuni e da li per il sentiero ritornare sulle tracce di casa. Ci abbiamo provato. Il bosco nel frattempo ha cambiato natura. Ora sono i faggi a porsi tra noi e la via di fuga; in un terreno umido, ripido e terribilmente scivoloso. Avanzare rimaneva comunque impresa ardua e complicata resa ancora più difficile da una stanchezza che lentamente ma inesorabilmente tendeva a complicare le cose. E dentro di me, non so se dentro le menti dei mei compagni l’incubo del tempo che passava e che piano piano ci stava consegnando nelle fauci del tramonto. Erano solo le 14 e 30 ma non vedevo via di uscita; avevamo solo ancora 2 ore e mezza di luce. Aggirato il monte, la sella di Forca Resuni era lontana e molto più in alto di noi; a dividerci pareti ancora più ripide e di nuovo boschi di pino Mugo. Vedevo l’opzione di raggiungere la sella svanire ad ogni passo che facevo ed è venuto naturale seguire quella roccia che vedevo sopra di noi. In mezzo ancora il solito onnipresente intricato bosco di pini ma con l’incubo del tempo che scorreva implacabile ho cominciato a salire e ho cominciato a ragionare in maniera semplice. Quella roccia era in prossimità della cresta del Capraro. La cresta ci sarebbe stata familiare e da li anche in mancanza di luce avremmo potuto fare delle scelte basate sull’esperienza. Mi rendevo conto che costringevo i miei compagni ad un nuovo sforzo allucinante, una massacrante salita diretta verso la cresta e per di più con un non meglio precisato tratto di bosco da superare. Che dire del resto fino alla cresta? Un passaggio combattutissimo tra la ragnatela di rami e tronchi di pino, una salita a tagliare gambe e fiato di quelle che piacciono tanto a Luca, il cuore che saliva in gola e costringeva a momenti di sosta frequenti ma poi alla fine la cresta, spostata dalla cima, verso Forca Resuni, ma fuori dall’intrico e con gli orizzonti davanti a noi. Erano le 15 e 30. I colori già tendevano al rosso. Non c’era tempo di riposare, l’avrei voluto ma dovevamo spingere per non rischiare di rimanere dentro il bosco sopra Civitella Alfedena al buio più completo. Paolo quando mi avrà visto prendere diritto dentro la conca che avevamo davanti a noi, dentro il nevaio per andare più veloce, mi avrà maledetto tanta era la sua stanchezza, ma vedevo quel gesto come l’unico per guadagnere tempo. La conquista del sentiero è stata cosa facile e breve. Come raggiungere di nuovo il passaggio di Passo Cavulo. Da li solo discesa, lunga ma è stato facile intercettare il sentiero nel bosco. La luce lentamente si affievoliva insieme alle nostre forze. Fuori dal bosco, proprio sopra il lago e Civitella Alfedena, il giorno ci abbandonava alle luci rarefatte del crepuscolo. Le luci del paese ci guidavano e ci davano ormai sicurezza e solo le rocce bianche del sentiero ci erano utili per un ritorno sicuro. Alle 17 e 20 eravamo in auto. Stremati, consci di aver vissuto una avventura strana ed insolita, frutto anche di decisioni sbagliate e di aver voluto osare comunque, ma anche certi di noi e delle nostre capacità di sopportazione agli imprevisti.